LA MONACAZIONE FORZATA : L’INFERNO NELLA CASA DI DIO

Unknown
Per monacazione si intende una forma di vita totalmente consacrata a Dio rinunciando a ricchezze e affetti per distaccarsi dal mondo e seguire l’ideale evangelico. Spesso le monache, appartenenti a importanti famiglie locali, venivano prelevate con la forza dalla loro vita monastica e costrette a fare da pedina di scambio nella politica matrimoniale di rappacificazione che era diventata un’usanza consolidata nell’Italia del XVII secolo, insanguinata da continue lotte e faide fra famiglie rivali. D’altra parte, però, un altro tipo di violenza e costrizione che le donne erano, spesso, costrette a subire era la cosiddetta monacazione forzata. Dal Medioevo in Europa vigeva la legge del Maggiorasco, principio secondo il quale i patrimoni di famiglia, ritenuti indivisibili, spettavano unicamente al primogenito. Gli altri figli, chiamati figli cadetti, per non far sfigurare la famiglia, erano costretti a mantenersi con le proprie forze intraprendendo la carriera ecclesiastica o quella militare. I figli maschi avevano maggior possibilità di scelta: potevano mettersi al servizio del fratello maggiore, arruolarsi negli eserciti (attività a volte, particolarmente redditizia) oppure scegliere la carriera ecclesiastica. Le donne, al contrario, non avevano scelta: l’unica strada era quella di prendere i voti. Per loro il matrimonio a volte risultava impossibile perché la dote matrimoniale era di gran lunga maggiore di quella da versare al convento per la monacazione di una figlia. Nella Repubblica di Venezia, ad esempio, la dote matrimoniale ammontava a 15.000 ducati, mentre per entrare in monastero ne bastavano non più di 1.200. La letteratura non rimase indifferente ai drammi della monacazione forzata, che fu un tema molto trattato da tutta la letteratura europea. Nel romanzo “I Promessi Sposi”, Manzoni presenta la cruda e difficile storia di condizionamento, violenze e ricatti psicologici subiti da Gertrude da parte della famiglia, del padre in particolare. Sin da piccola è educata alla vita religiosa e da adulta scopre di non aver alcuna vocazione, tenta la ribellione e per questo viene emarginata dalla famiglia e abbandonata a se stessa. Logorata dalla solitudine e dal biasimo che avverte intorno, non le resta che accettare il destino che altri hanno scelto per lei. Giovanni Verga in “Storia di una capinera”, romanzo probabilmente ispirato ad un fatto vero, racconta le vicende della giovanissima Maria, adolescente siciliana, orfana di madre che il padre, succube della nuova moglie, ha destinato ad una vita di clausura in un convento catanese. Da un lato lo scrittore lascia apparire un’analisi della società e dei moventi economici che accompagnano la vicenda narrata ( la volontà della matrigna di preservare la dote dell’altra figlia, costringendo Maria a prendere i voti), dall’altro Verga si focalizza sulla figura di Maria, volendone rappresentare stati d’animo ed intime emotività. La cerimonia di monacazione non è che il passo che avvia la giovane alla follia. Oggi il fenomeno, seppur in forme e con motivazioni diverse, appare ancora presente. Povertà, guerre, discriminazioni inducono giovani e meno giovani, provenienti soprattutto da Paesi dell’Europa dell’Est, Africa, Asia, Sud America, ad avviarsi alla vita ecclesiastica. Attualmente non si tratta più di divisione del patrimonio familiare, ma di pura sopravvivenza.
Alessio Castiglione V A

Precedente IL ROMANTICISMO E LA CONTEMPLAZIONE DEL DOLORE Successivo Le donne e la vita monastica