La donna e il monastero: viaggio nella letteratura

images
La letteratura nel corso dei secoli non è rimasta indifferente a una pratica di origine medievale che ha costituito a lungo un grosso ostacolo all’emancipazione femminile. Al principio del XVI secolo, la situazione all’interno dei monasteri femminili era problematica. A fronte di monache che prendevano i voti sulla base di una reale vocazione, esistevano giovani ragazze costrette dalla politica matrimoniale delle loro famiglie a intraprendere la vita monastica. La legge del maggiorasco allora vigente in tutta Europa, stabiliva che il patrimonio alla morte del padre non si doveva dividere fra i figli, ma dovesse passare tutto in eredità al primogenito. Gli altri figli, chiamati figli cadetti, per non far sfigurare la famiglia, erano costretti a mantenersi con le proprie forze attraverso la carriera ecclesiastica o quella militare.

Va tenuto conto però che per i figli maschi c’era una maggior possibilità di scelta: essi potevano mettersi al servizio del primogenito, intraprendere il mestiere delle armi, o scegliere la carriera ecclesiastica. Per le donne invece non c’era scelta: l’unica strada erano i voti e una vita in convento. Esempio memorabile è quello de “La Religieuse”, di Denis Dideròt, che testimonia come tale condizione femminile persista nella Francia prossima alla rivoluzione. Eppure è ne I Promessi Sposi, con il personaggio della monaca Gertrude, che si ha l’esempio più drammatico di questa condizione. Nel capitolo IX e X del romanzo si racconta che Gertrude “era ancor nascosta nel ventre della madre, che la sua condizione era già irrevocabilmente stabilita.” Infatti, questa povera ragazza è costretta a prendere il velo attraverso una pressione psicologica dal momento della sua nascita, in cui lo stato di secondogenita aveva già segnato il suo destino. Da piccola i suoi regali, consistevano in piccoli santini, bambole vestite da suora. La monacazione sembra per Gertrude l’unica scelta possibile, perché è l’unica che riesce a immaginare. Scopre troppo tardi gli istinti vitali che le erano stati negati, e finisce con l’innamorarsi dello scellerato Egidio. Un’altra vittima di questa drammatica situazione è rappresentata da Maria, la protagonista di “Storia di una capinera” di Verga. Gertrude e Maria sono due donne diverse per carattere ed estrazione sociale, ma unite dallo stesso destino: la clausura in monastero che porterà entrambe alla rovina. Un altro esempio è quello della monaca Arcangela Tarabotti, anch’essa destinata al chiostro per volontà del padre o piuttosto per motivi economici. Tarabotti ha vissuto in prima persona le vicissitudini di cui scrive. La sua testimonianza risulta perciò preziosa, perché ci permette di sbirciare attraverso le grate della clausura. A parte la monacazione forzata, esisteva un altro tipo di “violenza.” Spesso le monache, appartenenti a importanti famiglie locali, venivano prelevate con la forza dalla loro vita monastica e costrette a fare da pedine di scambio nella politica matrimoniale di riappacificazione che era diventata un’usanza consolidata nell’Italia del XVII secolo, segnata da continue lotte e faide fra famiglie rurali. Nella letteratura sono molti gli esempi di giovani donne che sfidano l’autorità familiare, poco propensa ad accettare la loro vocazione religiosa, e rifiutano il matrimonio. Questo è il caso dell’imperatrice Costanza D’Altavilla e di Piccarda Donati, che furono strappate al monastero per rispettare un impegno matrimoniale.

Carlotta Galvagno V A

Precedente Lasciate ogni speranza voi ch'entrate Successivo Le suore infelici della letteratura