Monache nella letteratura: storie di costrizioni e di soprusi.

images

La figura femminile ha da sempre avuto un ruolo rilevante nella letteratura. Quello che però ha caratterizzato la donna nel corso dei secoli è il suo potere decisionale fortemente limitato e talvolta inesistente persino nei confronti di se stessa. Fin dal Medioevo,infatti, le famiglie di rango elevato ricorrevano alla monacazione forzata delle proprie rampolle, per salvaguardare i loro patrimoni ed evitare le elevate spese dotali per i matrimoni. La legge del Maggiorasco, allora vigente in tutta Europa, stabiliva che il patrimonio, alla morte del padre, non si dovesse dividere fra i vari figli (in parti uguali o no) ma dovesse passare tutto in eredità al primogenito. Gli altri figli, chiamati figli cadetti, per non far sfigurare la famiglia, erano costretti a mantenersi con le proprie forze attraverso la carriera ecclesiastica o quella militare. Alcuni monasteri diventavano così luoghi in cui si ritrovavano spesso donne appartenenti ai medesimi gruppi familiari: ciò produceva talora conflitti e tensioni, poiché nel monastero si riflettevano le ambizioni degli ambienti di provenienza.

In proposito, il Concilio di Trento prese posizione, affermando il principio del consenso e della libera scelta ed affidando agli ordinari diocesani la verifica dell’effettiva volontà individuale della monacanda. Tuttavia, l’élite sociale dominante contrastava nella prassi la normativa tridentina, continuando in numerosi casi ad usare i monasteri per conseguire l’onorato collocamento delle figlie. Del resto, l’accertamento effettuato dalle autorità diocesane difficilmente poteva distinguere la libera volontà dalla costrizione, senza contare che gli stessi vescovi, perlopiù provenivano da ambienti nobiliari, e facevano parte di una rete relazionale complessa, che rendeva difficile svincolarsi dalle pretese, dalle consuetudini e dagli interessi economici dei ceti elevati. La letteratura non rimase indifferente ai drammi della monacazione forzata, che fu un tema molto trattato da tutta la letteratura europea, in particolare quella italiana e francese. Gertrude, la monaca di Monza dei “Promessi Sposi” di Manzoni è probabilmente l’esempio più drammatico della letteratura italiana. Gertrude, più che con la forza, è costretta a prendere la toga attraverso una costante pressione psicologica dal momento della sua nascita, in cui lo stato di secondogenita aveva già segnato il suo destino. Da piccola, i suoi regali consistevano in piccoli santini, bambole vestite da suora e lo stesso linguaggio che si usava con lei era finalizzato ad abituarla a quello del monastero. La monacazione sembra per Gertrude l’unica scelta possibile, perché è l’unica che riesce ad immaginare. Le catene le vengono assicurate quindi non al corpo ma alla mente. Scopre troppo tardi, ormai già nel convento, gli istinti vitali che le erano stato negati, e finisce con l’innamorarsi dello scellerato e perverso Egidio, che la trascina come complice nei suoi crimini. Anche Verga dedicò un romanzo a questo tema: “Storia di una capinera”, ambientato nell’Italia meridionale della seconda metà dell’Ottocento, in cui la monacazione forzata è ancora una tradizione fortemente consolidata. La trama del romanzo, probabilmente ispirata ad un fatto vero, racconta le vicende della giovanissima Maria, adolescente siciliana orfana di madre, che il padre, succube della nuova moglie, ha destinato ad una vita di clausura in un convento catanese. Un’epidemia di colera costringe Maria a soggiornare provvisoriamente presso la famiglia, in campagna; alla scoperta appassionata della bellezza del mondo naturale segue un evento ben più rilevante: l’incontro con Nino, un vicino di casa di cui l’ingenua ragazza s’innamora immediatamente. La cerimonia di monacazione non è che il passo conclusivo della discesa di Maria nella follia. Un altro esempio memorabile è quello de “La monaca”, di Denis Diderot, che testimonia come tale condizione femminile persista nella Francia prossima alla rivoluzione. Nel suo romanzo Diderot narra la storia di una ragazza di nome Susanna che viene costretta dai suoi genitori, terminato il periodo di noviziato, a prendere i voti per presunti motivi finanziari. In realtà, invece, la madre spera di far ammenda d’un proprio peccato giovanile che farebbe della giovinetta una figlia illegittima. C’è anche chi al contrario fu costretta ad abbandonare la vita ecclesiastica, come nel caso di Piccarda Donati, primo personaggio che Dante incontra nel Paradiso della Divina Commedia. Questa viene fatta uscire con la forza dal convento dell’Ordine delle Clarisse, nel quale aveva scelto di rinchiudersi prendendo come sposo Cristo, e viene in seguito costretta dal fratello Corso Donati a sposare un ricco rampollo. Infatti, spesso le monache appartenenti a importanti famiglie locali venivano prelevate con la forza dalla loro vita monastica e costrette a fare da pedina di scambio nella politica matrimoniale di riappacificazione che era diventata un’usanza consolidata nell’Italia del XVII secolo, insanguinata da continue lotte e faide fra famiglie rivali.

MATTIA TRISCALI VA

Precedente VITA MONASTICA: COSTRIZIONE O SCELTA? Successivo IL ROMANTICISMO E LA CONTEMPLAZIONE DEL DOLORE