VITA MONASTICA: COSTRIZIONE O SCELTA?

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La monacazione forzata è una delle usanze più diffuse del passato. La donna molto spesso veniva obbligata ad introdursi alla vita ecclesiastica per evitare la dispersione del patrimonio che solitamente toccava al primogenito maschio. Molte sono le donne nella storia a cui è toccata tale sorte, tutte accomunate dal risentimento per l’abbandono della vita mondana, rare eccezioni riguardano la sottrazione di donne dal chiostro per essere date in moglie. La donna più debole viveva tale situazione con una costante voglia di evasione e soprattutto di malessere interiore, vede ogni possibilità come un’opportunità di fuga. Al contrario le donne più forti hanno visto nel monastero la possibilità di una relativa indipendenza e autonomia che le ha portate ad importanti ruoli come nel caso delle badesse.

Il monastero era un luogo dove la tirannide patriarcale inevitabilmente si estendeva proprio a causa delle fisse e rigide norme e vietava la piena libertà della donna nel modo di pensare e agire. La letteratura ha trattato tale argomento consapevole del limite che questa situazione costituiva; da Dante a Manzoni e alcune biografie di donne parlano in prima persona del loro triste destino. Bisogna però ricordare che la figura di cui parla Dante rappresenta quella rara eccezione in cui la donna è sottratta questa volta dal chiostro involontariamente e con molto dispiacere. Infatti, all’interno della Divina Commedia inserisce insieme alla figura di Costanza d’Altavilla quella di Piccarda Donati donne entrambe sottratte al chiostro per essere poi inserite nella vita mondana e in quella matrimoniale particolarmente. Piccarda Donati era entrata nel convento delle clarisse francescane giovanissima, ne era stata tolta i per volere dei fratelli che la obbligarono alle nozze con Rossellino della Tosa. Piccarda sa che Dante non la riconoscerà per il suo essere più bella poiché la sua beatitudine trascende dal suo antico passato. Lei ancora parla del suo rimorso per essere stata sottratta dal monastero, dove si era rifugiata per scappare da quel mondo fatto di potenti, di violenza e di lotte del partito Fiorentino volendo seguire l’esempio di santa Chiara d’Assisi tuttavia quel mondo la raggiunge anche in convento rendendola costretta a trascurare i voti, infatti dice :” E questa sorte che par giù cotanto, però n’è data, perché fuor negletti li nostri voti, e voti in alcun canto […] Perfetta vita e alto merito inciela donna più sù a la cui norma nel vostro mondo giù si veste e vela, perché fino al morir si vegghi e dorma con quello sposo ch’ogne voto accetta. ”(vv.54-57, 97-98-99-100-101 Divina Commedia,Paradiso,canto III). Un altro esempio che Dante riporta di donna sottratta dal monastero contro la propria volontà è quello di Costanza d’Altavilla; ma, bisogna ricordare che qui Dante non raccoglie una notizia vera infatti, Costanza non fu mai monaca, né, quindi, smonacata con la violenza.
D’altronde però nella storia risultano più numerose le vicende di donne costrette alla vita monacale; una testimonianza diretta è pervenuta dal libro scritto da Arcangela Tarabotti (1604-1652) ; questa donna era una delle più importanti scrittrici della sua epoca e sfrutta l’unica arma che ha a disposizione ovvero la scrittura per denunciare quello che lei chiama “inferno” ovvero il monastero e le sue regole estremamente rigide, ma soprattutto attacca le famiglie che cacciano le loro figlie pur di mantenere i loro possedimenti; la monaca bramava una vita mondana per questo vuole ad ogni costo restare in contatto tramite una fitta corrispondenza con illustri personaggi del tempo, mentre disprezzava profondamente la vita a cui era stata condannata. Per narrare e rivelare a tutti le condizioni di vita a cui era sottoposta decide di scrivere un libro intitolato L’NFERNO MONACALE dove scrive : Non le destan prima di sepelirle fra gli orrori d’un tempestoso mare, anzi fra l’onde di una stigia pallude d’un monasterio – che tali mettamorfosi fanno le 7 violenze – usano loro con quelle misere, ma più tosto le vanno aplicando soniferi per farle più gravamente addormentare e levar loro la vitta, onde all’improviso, anzi ingresso di quelle porte, non vedono scritto a lugubri carattari: «Per me si va nella città dolente, per me si va nell’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente».“ (TITOLO: L’ Inferno monacale AUTORE: Tarabotti, Arcangela TRADUTTORE: CURATORE: Medioli, Francesca). Altra opera letteraria che tratta tale argomento è La Religieuse, di Denis Diderot, che testimonia come tale usanza fosse ancora viva nella Francia illuminista prossima alla rivoluzione. La protagonista delle vicende narrate è Suzanne Simonin, figlia adulterina appartenente a un’importante famiglia aristocratica che, in età da marito, è costretta a chiudersi in convento, abbracciando la vita monastica. All’inizio della sua permanenza a Longchamp Suzanne è quasi sollevata da quella che ritiene un’inaspettata serenità, dopo un’infanzia di angherie e soprusi da parte di una famiglia che la considerava inutile e scomoda, ma si rende ben presto conto che, dietro a rapporti di apparente tranquillità, si nasconde una terribile scia di violenza fisica e psicologica nei confronti delle incolpevoli recluse come lei. Suzanne, allora, decide di tornare in seno alla famiglia, ma l’astio e la freddezza con cui viene accolta la riportano ben presto in convento, dove torna a essere vittima dell’istituzione che la imprigiona e che non le ha perdonato l’iniziale ribellione alle sue regole ferree. Infatti, nel libro si parla apertamente del sentimento d’angoscia che turba la protagonista, della voglia di ribellione infatti Denis scrive: “Infine giunse il momento terribile. Allorché dovetti entrare nel luogo in cui dovevo pronunciare i voti, le gambe non mi ressero; due delle mie compagne mi presero sotto le braccia. La mia testa era reclinata su una di loro ed esse mi trascinavano a fatica. Non so che cosa accadesse nell’animo dei presenti, ma ciò che vedevano era una giovane vittima morente che si portava all’altare e da ogni petto sfuggivano sospiri e singhiozzi tra i quali sono certa che non si udivano quelli di mio padre e di mia madre.” (La monaca, Denis Diderot, Garzanti,1983). Manzoni all’interno della sua opera parla di tale situazione e il personaggio a cui tocca questo ruolo è quello di Gertrude la quale è costretta alla vita monastica ma i suoi atteggiamenti sono tutt’altro che propri di una monaca. Fin dalla tenera età le era stato inculcato un unico modello di vita quello clericale. Ma quando ormai è in convento scopre istinti che non poteva mai immaginare di provare, e finisce per innamorarsi di Egidio, che la coinvolge nei suoi loschi intrighi. La situazione della donna è stata per molti secoli caratterizzata da questa usanza per quanto riguarda ovviamente le famiglie più nobili. L unica via d’uscita presente era nella vita monastica che comunque era un rifugio dal resto del mondo; il problema dell’assenza di vocazione era praticamente inesistente perché ad eccezione di qualche raro caso quasi tutte le ragazze non sceglievano per vocazione tale strada.

Elena Grassia V A

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