IL CORPO MUORE, MA L’ANIMA VIVE

martina
Sin dall’antichità ci si è sempre posti la domanda se la vecchiaia fosse un valore o meno. Fino ad ora ci sono giunte diverse opinioni, tutte valide, ma nessuna completa ed esaustiva al cento per cento. Quando giunge la vecchiaia è difficile avere le stesse forze, le stesse abilità e la stessa lucidità di un ragazzino adolescente, ma nonostante ciò l’anziano è un uomo ricco di esperienze e di conoscenza, una qualità, si direbbe, molto invidiata: chi non vorrebbe avere la stessa saggezza di un uomo giunto alla sua vecchiaia?

Inoltre una tradizione che viene tramandata sin dai tempi dei Greci è il rispetto che un anziano si aspetta di avere da parte di gente più giovane e non; questo è ciò che riscontriamo in una delle opere di Cicerone Sulla vecchiaia del I secolo a.C.: “Non i capelli bianchi né le rughe possono d’un tratto agguantare l’autorità”. Da questa frase si può cogliere il pensiero di Cicerone che riteneva fosse giusto compiere determinate azioni nei confronti degli anziani perché, nonostante questi perdano le qualità possedute in precedenza, l’autorità e la necessità di essere rispettati continua ad essere presente.
Dunque l’importanza che riserva l’uomo non è data dall’età e dalla forza fisica, ma dalla capacità che l’uomo stesso possiede per far sì che possa continuare a ricevere rispetto e riconoscimenti.
Anche quanto scrive Seneca nelle Lettere a Lucilio segue in un certo qual modo le riflessioni di Cicerone, in quanto egli afferma: “Il termine “vecchiaia” designa un’età stanca, ma non affranta. […] Non avverto nel mio animo le ingiurie del tempo, mentre le sento nel corpo”.
È una cosa naturale che, una volta giunta la vecchiaia, l’uomo perda tutte le sue forze e inizi ad essere stanco, ma ciò non sta a significare che anche l’animo invecchi assieme alla pelle, perché l’uomo, con la sua volontà, è in grado di continuare ad allenare il proprio animo e mantenerlo in forze e vigoroso. Come scrive sempre Seneca, nella stessa opera sopra citata: “L’animo si rallegra di non avere molto da spartire con il corpo. […] Crediamogli, goda pure di un bene che è tutto suo. Attraverso queste parole riusciamo a capire quanto in realtà la vecchiaia sia utile e quanto sia importante nella vita di ogni uomo, perché è proprio durante questa fase che si ha un totale distacco dell’anima dal corpo; la vecchiaia può essere paragonata a quella che è la morte, ma una differenza notevole è il fatto che, mentre con la morte è l’anima a continuare il suo percorso ma in un mondo ultraterreno, con la vecchiaia si ha un distacco che vede l’animo dell’uomo vivo e sano, che continua a “vivere” sempre sul mondo terrestre, nonostante il corpo sia “morto”.
Il pensiero su quella che è la vecchiaia, via via, è andato modificandosi, infatti nel corso del XXI secolo, ci si ritrova in una società globalizzata e questa situazione non permette di far emergere i veri valori, tra cui appunto quello della vecchiaia, perché i giovani, così come da non sottovalutare gli adulti, pensano che coloro i quali abbaiano la pelle raggrinzita e i capelli bianchi vengano presi in considerazione solo quando possiedono la loro capacità di ragionamento e di azione e si pensa che una volta diventati “inutili” si possa anche fare a meno di loro.
“Terza età: una definizione che rievoca immagini tristi di graduale declino, di lento approssimarsi alla morte, una breve e semplice definizione per indicare quella moltitudine di individui dai capelli bianchi o grigi che, superata l’età lavorativa, non può più fare parte del meccanismo produttivo. […] Sono una categoria spesso volutamente ignorata o, addirittura, dimenticata” (C. Benozzo, Panorama di attualità anziani). Si sbaglia a credere che senza l’esistenza degli anziani si possa vivere, perché se un uomo va modificandosi nel corso della propria vita, succede perché c’è bisogno che il corpo e il pensiero cambino per far emergere nelle diverse fasi della crescita, diversi aspetti dell’uomo. Bisognerebbe anche mettersi nei panni degli anziani che, sì, nell’antichità iniziavano ad essere “maltrattati”, ma ancor di più lo sono oggi, in quanto a loro viene sempre ricordato il peso che danno a causa dei loro impedimenti: “Diranno che sei vecchio, con tutta quella forza che c’è in te, vecchio. Quando non è finita, hai ancora tanta vita, e l’anima la grida e tu lo sai che c’è. […] E faranno in modo, che il tuo viso, sembri stanco, inesorabilmente più appannato, per ogni pelo bianco” (Renato zero, Vecchio). Chiunque potrà sempre deridere un vecchio, prendersi gioco delle competenze di un uomo anziano, ma mai nessuno potrà sottrarre la vita a questo, nessuno potrà mai spegnere l’anima che ancora all’interno saltella dappertutto.
J. Meletti, ne La Repubblica, E l’anziano telefona al salvavita per battere la solitudine delle feste (27 Dicembre 2004),si occupa di analizzare un altro aspetto, ovvero il fatto che un anziano al giorno d’oggi, diventato intollerabile, viene abbandonato dagli stessi figli e l’unica cosa che riescono a sentire e percepire è il senso di solitudine che nemmeno le risorse economiche sono in grado di attenuare, nonostante nel XXI ci sia bisogno di una situazione economica favorevole per affrontare la vecchiaia, soprattutto perché è proprio in questo periodo che l’attività lavorativa cessa: “La signora Paola ci ha detto che suo figlio alle 11 del mattino le ha portato pasto e arrosto ma poi è andato via. […] Aveva davanti i piatti caldi, ma piangeva”.
Dunque questa fase della vita che sembra essere tanto difficile e dura, non è altro che una virtù che va valorizzata, perché non si deve fare in modo che la vecchiaia o comunque la figura dell’anziano in sè venga violentata a causa dell’affievolirsi del corpo.

Martina Caruso
III A

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