Marionette: donne costrette o sottratte alla vita del chiostro

images

Presenti da sempre nella letteratura, le donne hanno dimostrato la loro duplice natura forte e sensibile. Fino al secolo scorso le donne hanno avuto, nel corso della storia, un ruolo marginale, e solo grazie alle opere dei grandi autori viene portata alla luce la loro storia, fatta di violenze e soprusi, spesso, ad opera della famiglia.
E’ il caso di tutte quelle donne che sono state costrette a prendere i voti o a prender marito contro la loro volontà, obbedendo esclusivamente ai giochi di interessi e convenienze della propria famiglia.

Si pensi alla monaca di Monza, personaggio de “I Promessi Sposi”(1), il cui destino era già stato deciso dai genitori prima che nascesse. La piccola Gertrude venne cresciuta con l’idea che la vita di una donna fosse inevitabilmente legata al chiostro; studiò all’interno di un monastero. Fu convinta di prendere i voti fin quando non iniziò a confrontarsi con le sue coetanee le quali avrebbero preso marito una volta completati gli studi. Allora gli orizzonti della piccola si allargarono, vide il mondo sotto un’altra prospettiva, illudendosi di poter cambiare il suo futuro. Decise, dunque, di parlare al padre della sua voglia di sposarsi e vivere fuori dal convento. E’ proprio qui che sta la tragicità dell’episodio: la povera Gertrude, una volta tornata a casa, venne isolata dall’intera famiglia, rinchiusa in una stanza per giorni; subì una crudele violenza psicologica, aggravata dalla sua debolezza. Fu costretta ad accettare la volontà della sua famiglia. Ma, non riuscendo a resistere al proprio istinto, una volta divenuta monaca, tradì i voti intraprendendo una relazione con un laico. E’ chiaro, quindi, come la giovane non ebbe possibilità di scelta, e altrettanto evidente è come questo la rese una donna crudele e superba, tanto che veniva temuta da tutto il convento per la sua intolleranza e per la sua malvagità. Sfogava la sua insofferenza con le allieve, e si macchiò anche di omicidio. Questi suoi atteggiamenti appaiono come una sorta di ribellione alla vita che le venne imposta, e mettevano alla luce la sua debolezza e la sua mancanza di forza nel reagire contro le decisioni della sua famiglia, che si disinteressava completamente al volere della figlia, a tal punto di ignorarla nel momento in cui questa dimostrò di non avere i loro stessi desideri. Manzoni, narrando la storia della Monaca, fa evincere la totale mancanza di affetto da parte della famiglia nei confronti di Gertrude, elemento che ancor di più fa comprendere il comportamento non convenzionale della suora.
Un’altra storia affine a questa è “Storia di una Capinera”(2) di Verga. Anche in questo caso la piccola Maria cresce con l’idea che la vita monastica sia conforme alla sua volontà, decisione presa attraverso l’educazione impartitale dai genitori affinché potesse considerare questa scelta come unica. Ma la giovane, a causa della peste, per un breve periodo, venne portata via dal convento di Catania per rifugiarsi sul monte Ilice. Maria, che aveva diciannove anni, si meravigliava di ogni cosa come se avesse poco più di tre anni, questo lascia intendere come le scelte della famiglia limitassero profondamente la vita dei loro stessi figli, costringendoli a credere che il mondo fosse fatto solo di un colore e che non ci fosse possibilità di scelta. La ragazza si innamora di Nino, un vicino, ma brutalmente viene strappata da quella vita idilliaca e riportata dal padre dentro il convento dove morirà per la pazzia. In questo caso le conseguenze sono drammatiche, rese tali anche dalla notizia che la sorella venne, in seguito alla sua reclusione, promessa in sposa proprio a Nino, il suo amato. Ancora una volta la forza della donna viene sopraffatta dalla passione che, in questo caso, sfocia in pazzia. La giovane Maria, non riuscendo ad accettare il suo inevitabile destino, si ammala fino alla morte. Morte che può essere considerata un omicidio dato i motivi per cui la capinera cade in malattia, omicidio, tra l’altro, commesso dall’egoismo del padre che ha come unico interesse il proprio denaro.
Morta di pazzia, ma anche di solitudine, è “La Monaca”(3) di Diderot. La sua storia risulta essere ancora più complessa delle altre monache sopra citate, in quanto Suzanne cerca nel convento un rifugio che la tenga lontana dalla sua famiglia. Questa la riteneva scomoda e inutile e, siccome era nata da una relazione adultera, l’aveva da sempre maltrattata. In un primo momento la vita monastica le appare come quella vita tranquilla che aveva sempre desiderato e mai avuto, ma proprio lì subirà ulteriori soprusi e angherie per mano delle altre monache. Sembra quasi che questa povera ragazza non possa trovare serenità. Inoltre, probabilmente, le violenze subite venivano da lei amplificate perché non accettava di vivere rinchiusa in un chiostro per tutto il resto dei suoi giorni. Quindi decide di andar via e ritornare dalla sua famiglia, ma viene accolta con freddezza e diffidenza. Sconfortata scappa di nuovo in convento, ma ancora una volta viene imprigionata dalle regole e dall’istituzione, alle quali lei si ribella. Prova a sopportare la violenza fisica e psicologica subita, ma debole e stanca fugge a Parigi dove troverà, poco tempo dopo, la soluzione, la via d’uscita dalla sua ineluttabile condizione: la morte, causata dalla malattia. Suzane, se pur simile a Gertrude e Maria, è l’unica tra queste che tenta la ribellione, cerca di combattere, con la sua sola forza, il destino che incombe su di lei, ma senza alcun successo, anzi, proprio a causa della sua ribellione, viene abbandonata alla sua solitudine. Il denominatore comune tra queste donne è anche questo: qualsiasi tentativo, anche minimo, di opposizione alla loro sorte porta alla solitudine e all’allontanamento da parte di quella figura dalle quali dovrebbero avere il più grande conforto e l’amore più sincero, ovvero la famiglia.
Opposta nel contenuto, ma simile nel senso, è la storia riportata da Dante ne “La Divina Commedia”(4) e in particolare nel Paradiso, quella che narra di Piccarda Donati. Dopo la vocazione Piccarda decide di prendere i voti, scelta dettata dall’amore verso Dio che arbitrariamente la porta ad abbracciare la vita monacale. Ma per interessi economici, la donna viene tirata fuori dal convento dai suoi due fratelli per far sì che si legasse in matrimonio a Rossellino della Tosa. Si narra che Piccarda portò avanti il suo voto di castità anche da sposata, dal momento che ancora lei si sentiva legata a quella vita che le era stata negata. Dopo poco tempo, forse a causa della violenza subita, si ammalò e morì.
Il fattore comune a tutte queste donne è la negazione della libertà di scelta. Le donne dell’antichità erano vittime della volontà della loro famiglia, contro la quale non avevano la possibilità di opporsi. Queste storie sono un esempio di come la vita della donna non avesse alcun significato e, piuttosto, avesse esclusivamente il fine di agire e vivere solo per garantire i benefici altrui. Non poteva scegliere chi amare, non aveva il diritto di controllare da sé la propria vita, ma era una marionetta nelle mani dei parenti che la muovevano a loro piacimento, era il mezzo attraverso cui il patrimonio sarebbe restato illeso, facendola rinchiudere in convento, o si sarebbe allargato legandola alla famiglia che proponeva la migliore offerta. Di conseguenza le donne erano forzate ad una vita priva di quel vero amore che ogni giovane ragazza desidera e brama dal momento in cui prende coscienza di se stessa, priva di quelle attenzioni e di quel affetto che può dare solo la famiglia soprattutto durante la tenera età, pur essendo circondata da beni futili come la ricchezza e il potere. Donne fatte schiave dalla famiglia e rese povere di spirito dalla vita crudele che ha negato loro amore e libertà, considerate come deboli e inutili, ma indispensabili solo per la procreazione o addirittura persone da eliminare dalla famiglia così che il patrimonio potesse essere unico e destinato esclusivamente al primogenito.

(1) “I Promessi Sposi” Alessandro Manzoni, 1840
(2) “Storia di una capinera” Giovanni Verga, 1871
(3) “La Monaca” Denis Diderot, 1796
(4) “Divina Commedia” Dante Alighieri, III Canto del Paradiso, 1306-1320

Alessandra Anzalone V A

Precedente La vita monastica: da Piccarda nella Commedia a Gertrude nei Promessi Sposi Successivo Lasciate ogni speranza voi ch'entrate