“Molto triste, poco pop”: storie di romanticismo e fenomeno pop

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1700. Il secolo dei lumi, del progresso, delle grandi rivoluzioni in campo politico, economico e scientifico sconvolge l’Europa. Grandi cambiamenti sembrano dare una svolta positiva alla vita dell’uomo: dalle colossali industrie che offrono lavoro a migliaia di persone, passando per le innovazioni della scienza, l’affermazione di una forte classe borghese, arrivando ai diritti fondamentali quali la libertà, la fraternità e l’uguaglianza. Eppure un periodo apparentemente così proficuo porta in sé il Terrore delle guerre, delle rivolte soffocate con la violenza, del proletariato, la povertà e lo sfruttamento della natura e degli uomini.

La ragione, che dopo tanto si era affermata e che aveva duramente condannato l’irrazionalismo e il misticismo, in fin dei conti, aveva fallito (e portato rovina). L’intellettuale per primo percepisce e risente gli effetti dei mutamenti della società, comincia a essere afflitto da un tormento che non lo abbandona: vorrebbe evadere dalla triste e grigia realtà in cui si trova, andare oltre il tangibile e il visibile e raggiungere qualcosa di grande, invitante e misterioso, sicuramente più accogliente della monotonia e disperazione della società che lo imprigiona.
Ha bisogno e nostalgia di un infinito indeterminato da cui è stato separato, riscopre il sentimento, l’irrazionalità, il sogno, la fantasia, di cui la sua arte viene intrisa. E’ ben consapevole della sua sensibilità e quindi della diversità che lo porta a essere emarginato nella nuova realtà, la stessa che in molti casi rende le creazioni della sua sensibilità una merce da riprodurre in serie .
L’arte in tutte le sue forme, infatti, diventa un prodotto soggetto alle regole del mercato, al gusto del pubblico borghese e alla critica. Un altro duro colpo per gli intellettuali, che dal dover rispondere ai gusti e capricci di un sovrano e della sua corte si ritrova a essere alla mercé di un pubblico di borghesi. Proprio a causa della decadenza dell’aristocrazia, delle corti e delle accademie , l’intellettuale deve cominciare a lavorare per potersi mantenere e a rispettare gli accordi con gli editori e le scelte del pubblico. Ma, dopo secoli in cui i letterati avevano educato le classi dominanti e vissuto della e per la propria arte, possono questi piegarsi alla massa? L’irrazionale e incompreso artista romantico può mai accettare di diventare una macchina da produzione seriale, tradendo il suo genio creativo per denaro ? Il letterato si ritrova dinanzi a una scelta ardua, un nuovo conflitto interiore.
«La poesia non è, come il raziocinio, facoltà da poter essere esercitata secondo le determinazioni della volontà. Non può dirsi: “Io comporrò poesia”. (…) Ma quando l’atto del comporre principia, l’ispirazione è al suo declinare, e la più gloriosa poesia che mai sia stata messa al mondo non è forse che una debole ombra delle concezioni primitive del poeta». Così recita Percy B. Shelley nella La difesa della poesia (1821). E il discorso è estendibile a ogni arte. Il romantico è consapevole di essere attraversato dalle misteriose forze dell’ispirazione e della creatività, meccanismi inspiegabili. Non è una macchina, non basta spingere un pulsante per sfornare un prodotto di successo che accontenti il nuovo pubblico , ormai borghese e con una mentalità diversa ( volta all’utile e al profitto).
La vera poesia, l’arte autentica parte dall’intimo, ha in sé il sentimento, l’emozione dell’autore, che si racconta attraverso questa, scappa verso una realtà migliore, si sfoga, lascia un pezzo di sé. E’ già difficile spiegare la nascita di un’opera, classificarla , figurarsi adattarla al gusto della massa. Il solo cominciare a utilizzare la ragione durante la fase creativa, allontana l’ispirazione, deteriora. “Il poeta è veramente rapito fuori dai sensi; in compenso tutto accade dentro di lui… il sentimento per la poesia ha una vicina affinità (…) col sentimento dell’infinito in genere. Il poeta ordina, unisce, sceglie, inventa ed è incomprensibile a lui stesso perché accada proprio così e non altrimenti.” [Novalis, Frammenti (1800)]. Il processo creativo è un momento tanto magico quanto misterioso, incredibile e tumultuoso. Forzarlo conduce non più alla creazione di grandi capolavori, ma in un certo senso a prodotti quasi industriali, prefabbricati che seguono i dettami del tempo, i cliché e i topos amati dal pubblico. Moltissimi intellettuali, per questo, preferiscono vagare, vivere umilmente o trovarsi altre occupazioni nel campo culturale o delle libere professioni, decidono di scrivere per pochi privilegiati, di non tradire sé stessi, pur di non diventare “operai ” della società. E’, ormai, l’editore, figura che investe capitale nella pubblicazione per poi guadagnarne maggiormente, a scegliere personalmente le opere letterarie, potendo determinare il successo di alcune, come la scomparsa definitiva di altre . I giornali, invece, con le loro rubriche, influenzano i gusti artistici. E di conseguenza altri intellettuali cedono alla nuova tendenza ( o per meglio dire alle necessità di mercato ) e decidono di provare ad adattarsi al cambiamento. Cominciano a produrre e a modificare le loro opere per accontentare il pubblico, riscuotere successo, vendere in quantità maggiore. Hanno, forse, da una parte paura di non riuscire più a portare avanti la propria attività, di non avere abbastanza disponibilità economica o magari, più semplicemente, di dare vita a opere valide, ma di essere lo stesso completamente eliminati dalla scena del loro tempo e dalla memoria futura, o passare come artisti da strapazzo, solo perché non compresi fino in fondo o non apprezzati dal popolo. Sono gli albori della cultura di massa, della merce amata dal popolo, bella e che vende fino a diventare “ Best seller “. Un processo che non riuscirà più ad arrestarsi e continua oggigiorno. Eppure, molto probabilmente gli stessi artisti romantici “venduti” al pubblico , al successo e alla rendita, covano un sentimento di disprezzo verso quella società e le loro opere “pop” , sperano di potersi esprimersi liberamente, guidati dall’ispirazione, come un tempo. E come non considerare il fatto che potrebbe essere ancora adesso così? Pensare solo alle hit estive o a tutti i fenomeni national-popolari. Emblematica ed esplicativa è la serie tv Boris, in cui il protagonista, un regista cinematografico, sceglie la strada della sitcom e del “ciò che la gente vuole, ciò che piace (cit)“ per poter continuare in qualche modo a creare e guadagnare, ma sognando di potere essere di nuovo un vero artista.
La poesia, il bello, l’arte vengono dal profondo, sono incontrollabili, misteriosi frutti della sensibilità e creatività umana, ma purtroppo, da secoli agli artisti è chiesto di conformarsi ai gusti del pubblico, degli acquirenti, della società. Per fortuna, qualcuno continua ad andare imperterrito verso la propria direzione, a seguire il suo istinto e il suo folle e geniale estro, il suo cuore, e a essere un “ molto artista poco pop *“ che rende il mondo un po’ più colorato, differente .

*= Hank! e Niccolò Carnesi , “Molto triste , poco pop”

Maria Chiara Cannata
VA

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