L’INFINITO…

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Il Romanticismo fu un complesso movimento spirituale e culturale, che produsse un profondo mutamento nelle lettere, nelle arti, nel pensiero, nella politica e nel costume. Sorto sul finire del Settecento in Inghilterra, e, con più matura consapevolezza in Germania, dove si legò alla filosofia dell’Idealismo, e si estese progressivamente a tutta l’Europa. Il nome del movimento deriva dall’aggettivo romantic, che appare per la prima volta in Inghilterra sul finire del Seicento. In connessione con la parola romance, che originariamente equivaleva a “francese antico”, e, in seguito, a “narrazione poetica in versi”, assunse via via il significato di “cosa fantastica, irreale, simile a quelle che avvengono nei romanzi” e quindi servì a definire sia una disposizione d’animo fantasioso e sentimentale, sia i paesaggi solitari e pittoreschi che la stimolavano. Nella storia della parola possiamo già vedere delineati alcuni motivi fondamentali della sensibilità romantica: l’esaltazione del sentimento e della fantasia, l’esaltazione del Medioevo, la svalutazione del classicismo, l’amor di patria, la disposizione al sogno e a un colloquio intimo e immediato con la natura.

Il romanticismo propone una visione della natura del tutto nuova e diversa dalle precedenti. La natura è la manifestazione dell’infinito, principio del tutto ,che l’uomo desidera ardentemente. La natura è infinita e unitaria allo stesso tempo grazie ad un’unica forza polare, dinamica e infinita, forte e in continuo movimento. L’uomo romantico desidera l’infinito, che è irraggiungibile ed è radice del finito. Questo pensiero dell’infinito lo possiamo trovare nel grande poeta e filosofo italiano Giacomo Leopardi, influenzato dalla corrente letteraria del Romanticismo. Nella sua poesia “L’Infinito” egli sogna non di entrare nella vita sociale ma di uscire dall’angusta vita familiare, che lo tiene come prigioniero nonché dai limiti di una vita paesana che egli non ha mai capito e con cui non si è mai confrontato veramente, se non come un intellettuale che osserva dall’alto del suo palazzo la vita che si svolge in piazza, nei campi. Immagina al di là di quel colle interminati spazi, sovrumani silenzi e profondissima quiete. Questa profondissima quiete non è intesa come silenzio, ma come immobilità che accompagnata al silenzio riesce a spaventare il cuore del poeta, tanta è infinita la sua grandezza (<< io nel pensier mi fingo ove per poco il cor non si spaura>>). L’autore è riportato alla realtà dal rumore del vento che muove le fronde delle piante intorno a lui, questo rumore gli ricorda le voci dell’epoca presente in cui vive, mentre quell’infinito silenzio è il portavoce del dolore delle epoche passate. Quel dolore che descrive nello Zibaldone, ma in vesti diverse: il dolore per la propria patria, l’Italia divisa e preda di dominazioni straniere. Il letterato sentiva molto il dolore per lo scorrere del tempo e per la morte, però Leopardi non cancella del tutto il bisogno e il desiderio di infinito, insito in ogni uomo, per cui “il naufragar” può essere “dolce in questo mare”, che altro non è in fondo se non il mistero dell’Essere. Infine la natura , nel pensiero leopardiano, è considerata benigna: in quanto provando pietà per l’uomo gli ha fornito l’immaginazione, ovvero le illusioni, le quali producono nell’uomo la felicità che non è reale, perché mascherano la vera realtà che è fatta di sofferenza.
Possiamo notare che anche l’arte, la poesia, la pittura, la musica in questo periodo del Romanticismo vogliono esprimere i sentimenti e le inquietudini dell’animo umano. Il senso dell’infinito può essere anche interpretato con questo dipinto di Caspar David Friedrich, intitolato “Viandante sul mare di nebbia”. Questo è un dipinto ad olio su tela del 1818 ed è forse il quadro più famoso del pittore, traducibile nel sublime, nel senso di una natura immensa e potente, che sarebbe poi il cardine del sentire romantico. Viene così ritratto un uomo di spalle, il viandante solitario, la quale posizione evoca proprio la parte inconscia e nascosta dello stesso, e che affacciato sul mare di nebbia che copre un intero paesaggio montagnoso e lì ad osservare il tutto. La mancanza di vegetazione sottolinea la mancanza di posti accoglienti, il tutto infatti trasmette un senso di inquietudine, stessa sensazione che esprimono le rocce nere e inospitali che spuntano fuori dalla nube di nebbia, che sembra quasi lo stesso vapore che sprigiona la terra dal suo interno, e ciò ci riporta ad immaginare un paesaggio angusto. L’uomo, lì sulla scogliera ci permette di capire quanto è piccola la dimensione umana rispetto alla dimensione della natura.
Tuttavia l’uomo aspira a cose infinite ed eterne, ma vivere è un continuo morire, infatti l’uomo è destinato a non sapere perché sia nato, viva, soffra e dove vada: è una forzata cecità che uccide l’animo umano.
Monica Leanza V A

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