LA VECCHIAIA: TANTA SAGGEZZA

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Al giorno d’oggi si vive in una società giovane e frenetica, in cui non c’è il tempo nemmeno per prendersi un attimo di pausa: bisogna sempre essere all’avanguardia, con la testa rivolta in avanti come se fosse bloccata da un collare. Di conseguenza genitori e parenti avanti con l’età vengono visti come un incomodo, una “palla al piede”, in quanto richiedono un po’ di tempo e di attenzioni. Per non parlare degli acciacchi. La società ci fa vedere la vecchiaia come un mostro da tenere lontano, ci sprona a “combatterla come una malattia” (: Cicerone, Cato Maior de senectute)

. In realtà, talvolta, è necessario fermarsi a riflettere, e considerare le parole di questi anziani, che si ritengono inutili, che tuttavia col passare del tempo si cominciano ad apprezzare, tanto che si finisce per inseguire quello che i vecchi saprebbero raccontare. Anche se i tempi sono cambiati, ci sono delle nozioni di vita che rimangono invariate anche se davanti non c’è più un foglio di carta, ma un computer. E poiché l’esperienza è una strana insegnante, che prima mette sotto esame e dopo dà l’insegnamento, ci si accorge di come sia un vero e proprio vantaggio ascoltare le storie di chi queste esperienze le ha già vissute. I vecchi sanno che cosa è il tempo. Hanno visto cadere illusioni, i loro coetanei e loro stessi cambiare d’aspetto, anno dopo anno. Non così i giovani, che vivono in un mondo fatto di ruoli e personaggi fissi, i quali possono agire, entrare ed uscire, ma non mutano in scena il loro aspetto. Per il bambino, o anche l’adolescente, è quasi impossibile pensare davvero che il nonno o il padre siano stati dei bambini o dei ragazzi come lui. Se lungo i suoi anni è effettivamente maturato, il vecchio conduce una vita serena, e anche la sua morte è tranquilla. Nella Bibbia si dice che i patriarchi muoiono in pace dopo una vita lunghissima. Per esempio Abramo, a centosettantacinque anni, “in felice canizie, vecchio e sazio di anni”. Ma la serenità è un risultato difficile. Il vecchio assomiglia ad un funambolo che cammina su un filo sempre più sottile. Per questo la virtù principale della vecchiaia è l’equilibrio.  La vecchiaia richiede dignità. Non c’è niente di più riprovevole di un vecchio dominato da basse passioni, come “il vecchio malvissuto” che incita la folla ad abbandonarsi al saccheggio durante il tumulto del pane, descritto da Manzoni nei Promessi Sposi. Non c’è niente di più patetico di un vecchio che tenta di fare il giovane. Un uomo non dovrebbe sentirsi dire dagli altri che è diventato vecchio, dovrebbe saperlo da sé. Per invecchiare bene bisogna amare molto la vita, ciò che non vuol dire essere attaccati ad essa. Di tutte le sfide che l’uomo possa raccogliere nella sua esistenza, quella della vecchiaia è la più umana. L’uomo, a differenza dell’animale che è sempre totalmente arreso all’andamento ciclico del tempo biologico, gioca con la vecchiaia una partita complessa, che si attua con strategie sostitutive e di compensazione. Gli richiede tutta la sua volontà, la sua immaginazione, la sua duttilità. “Il corpo si appesantisce per la fatica dell’ attività – osserva Cicerone nel suo “Della Vecchiaia”- “lo spirito invece, esercitandosi, si fa più leggero”. Egli inoltre consiglia ai vecchi di ”avere uno spirito teso come un arco e non lasciarsi vincere dalla vecchiaia, arrendendosi alla debolezza”.
Presso le società tribali il vecchio, se è stato un guerriero o cacciatore valoroso, fa parte del consiglio degli anziani che detiene il governo politico della comunità ed amministra anche la giustizia. A Roma, fin dalle origini, l’organismo che esercitava il potere politico era il Senato (Senatus). Come dice il nome, un’assemblea di vecchi (senes). A Sparta la “Gherusia”, che deteneva il potere, era formata da vecchi ( ghérontes). Anche se è un po’ interminabile e noioso nei suoi interventi in assemblea, il vecchio Nestore, che partecipa nonostante l’età avanzata alla guerra di Troia – come racconta Omero nell’Iliade – è considerato saggio e come tale rispettato ed ascoltato da tutti gli Achei. Quando il vecchio è troppo indebolito anche per partecipare al consiglio degli anziani, si occupa dei problemi quotidiani del villaggio, insegna e intrattiene i bambini, racconta loro i miti e le storie tramandate. Così contribuisce a rinsaldare la coesione sociale.
L’immagine dell’anziano sotto una coperta davanti al camino è ormai solo uno stereotipo. Più del 50% degli ultrasessantenni sono attivissimi e si danno da fare per rimanere in forma con uno stile di vita molto attivo. Molte volte cercano di prolungare il periodo di lavoro per non andare in pensione, o frequentano le Università della Terza età. E’ recente infine il progetto “Nonni Web”, per fare approcciare gli anziani con le nuove tecnologie. Con la loro saggezza e la loro voglia di fare, se resi partecipi gli anziani possono quindi costituire una valida risorsa. Qualcuno potrebbe giustamente obiettare che non tutti gli anziani, anzi buona parte, rimane invece inutile alla società. Molti infatti sono inibiti fisicamente, o non ce la fanno a impegnarsi ancora come quando erano giovani. Ebbene, se non possono fornire un aiuto alla società frenetica e confusionaria che intendiamo, non significa che non possono fornire un aiuto nella Prima Società, la famiglia. Una persona in più a casa che aiuta negli affari domestici è sempre desiderata. Come non c’è gioia più grande per un nonno o una nonna di stare con i suoi adorati nipotini. L’abbandono e la trascuratezza degli anziani derivano da una triste piaga della società moderna, ovvero dalla perdita del senso della famiglia. Cinquant’anni fa era un obbligo morale avere i genitori a casa propria e prendersene cura, ora invece è quasi impensabile. Il recupero di questo senso di appartenenza alla famiglia dovrebbe essere oggetto di dibattito nelle scuole e oggetto di preoccupazione per le Istituzioni. La vecchiaia dunque, con tutti i suoi acciacchi, deve essere vista con amore e senso di famiglia, come un momento di pace e serenità, oltre che estrema saggezza. Pertanto amiamo i nostri “vecchi” e tuteliamoli, come d’altronde fecero loro con noi quando erano giovani.
MONICA LEANZA III A

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