CICATRICI NATURALI

francesca

Non tutti hanno l’immensa fortuna di sperimentare la vecchiaia poiché molti periscono prima che il loro ciclo vitale possa affacciarsi allo stadio estremo della vita, la parte più enigmatica dell’esistenza, la continua lotta tra desiderio e impossibilità di soddisfarlo.
Quando ci si ritrova davanti allo specchio della vita tutto ciò che ci circonda, per un momento tace: i capelli si ingrigiscono, le prime rughe ti solcano il viso e diventa difficile rispondere alla domanda ‘’cosa mi aspetta adesso che sono anziano?’’. Ogni singolo momento sarà vissuto non per il suo intrinseco valore, ma come sentimento di una precarietà che lo travolgerà in qualcosa di misterioso o chissà, di peggiore. La vecchiaia, dunque, sarà memoria e rimpianto della giovinezza.

‘’Si, per te valgo meno del tuo Ermes d’avorio o del tuo fauno d’argento: quelli ti piaceranno sempre, ma fino a quando io ti piacerò? Probabilmente fino al giorno in cui avrò la prima ruga. Adesso capisco che perdendo la bellezza, quale essa sia, si perde tutto […] Quando mi accorgerò di invecchiare mi ucciderò.’’ (Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray). Nella nostra epoca, volta all’esaltazione della giovinezza, il senex è associato solamente al ritardo, all’inadeguatezza, ed è proprio per questo che la vecchiaia diventa dura da vivere. L’anziano non è più visto come depositario del sapere o piuttosto come fonte di saggezza, ma al contrario, viene considerato solamente un ‘’chiacchierone’’ che conduce la fine della sua esistenza rimpiangendo i momenti andati. Gli aggettivi che gli vengono attribuiti lo fanno apparire come un uomo mentalmente rigido, bigotto, capace solamente di fare riferimenti al passato. Fino a pochi decenni fa, l’anziano viveva nell’ambiente familiare per tutto l’arco di tempo che lo separava dalla morte. Oggi non è più così. L’anziano viene abbandonato a se stesso e i più fortunati vengono accolti in case di riposo; altri addirittura non possono godere della fortuna di ricevere calore dalla famiglia o di trovare ‘’sollievo’’ in una comunità. Questo radicale mutamento è il frutto dei tempi, di una società che,vinta dal ritmo del successo e dal superamento dei valori passati, trascura quelli tradizionali. Gli uomini pertanto hanno dimenticato il concetto di sacrificio e soprattutto di pazienza. L’anziano dovrebbe essere accudito, rincuorato;
Ma questa è l’unica immagine dell’anziano che si riesce a costruire nella mente? Facendo un tuffo nel passato, si può notare come Cicerone avesse un punto di vista completamente diverso da quello odierno. ‘’Ma in tutto il mio discorso ricordatevi che io lodo quella vecchiezza che sta salda sui fondamenti posti nella giovinezza. […] Non i capelli bianchi né le rughe possono d’un tratto agguantare l’autorità: ma la vita anteriore onorevolmente vissuta coglie infine i frutti dell’autorità.’’(Cicerone, Sulla vecchiaia, XVIII, 62-64). O ancora Seneca ne ‘’Lettere a Lucilio’’ – Il termine vecchiaia designa un’età stanca, ma non affranta. […] Non avverto nel mio animo le ingiurie del tempo, mentre le sento nel corpo-.
Dunque la vecchiaia è l’immagine riflessa della giovinezza. Senilità e gioventù non sono più due universi assoluti,sciolti da qualsiasi legame, ma la prima sarà conseguenza della seconda. L’anziano era visto come l’uomo ‘’sopravvissuto a molte battaglie’’, l’uomo che aveva trascorso una giovinezza onorevole; poco importava la decadenza del corpo: virtù e saggezza risiedevano nello spirito,il corpo era solo pura apparenza.

‘’Sono i fiori della giovinezza, e vanno carpiti
Da uomini e donne. Poi tristemente viene
La vecchiaia e l’uomo bello è simile al brutto:
pensieri cattivi logorano la mente,
non danno gioia i raggi del sole –
e c’è l’odio dei ragazzi, il disprezzo delle donne:
tutto l’orrore della vecchiaia, imposto dal dio.
(Mimnermo. Trad. di Dario Del Corno)
Un certo Mimnermo, autore greco del VII secolo a. C., di certo non la pensava così. Egli si augura di morire all’età di sessant’anni piuttosto che affrontare il processo dell’invecchiamento. Definisce la vecchiaia come un annebbiamento della mente e dello spirito, spregevole, che rende l’uomo inutile.
Ma che vita sarà se la società escluderà l’anziano solo perché improduttivo? Se la società vedrà l’anziano, sempre e comunque, come un peso da trascinare e non come una risorsa?

Schilirò Francesca, III A

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